International Journal of Molecular Sciences 2025, 26, 5773
L’autofagia è essenziale per garantire i processi visivi. D’altra parte, la disfunzione dell’autofagia caratterizza diverse patologie retiniche. Ciò particolarmente evidente nella degenerazione maculare senile (AMD. Il coinvolgimento dell’autofagia nella AMD è documentato da esperimenti in vitro e in vivo ed è fortemente suggerito da riscontri clinici nell’uomo. Il presente manoscritto fornisce una panoramica dei tipi specifici di autofagia prevalenti nella retina e delle loro alterazioni nella degenerazione retinica, con particolare attenzione alla AMD. Un’ampia sezione del manoscritto analizza la connessione tra l’autofagia alterata e la patologia cellulare all’interno dell’epitelio pigmentato retinico, nonché la sede e la struttura di aggregati extracellulari chiamati drusen. Il significato delle drusen in relazione alla funzione visiva viene discusso alla luce del ruolo dell’autofagia nella regolazione di fasi chiave della fototrasduzione.
Alcuni studi indicano che l’attivazione dell’autofagia possa essere indotta con specifici composti chimici (farmaci e/o fitochimici) o agenti fisici come specifiche lunghezze d’onda e persino impulsi sonori. Nuovi approcci basati sulla terapia genica possono essere progettati per essere adattati al fenotipo della malattia di ciascun paziente. Ciò include l’espressione condizionale di specifici geni dell’autofagia all’interno delle cellule RPE nel corso della degenerazione retinica. È interessante che i geni dell’autofagia possano essere indotti specificamente da lunghezze d’onda selettive. Ad esempio, la luce ambrata, che ha una lunghezza d’onda di circa 590 nm, è un potente induttore dell’autofagia ed è stata suggerita, insieme alla luce rossa e infrarossa, in specifici protocolli di trattamento noti come fotobiomodulazione (PBM) in pazienti umani. Questi trattamenti si basano su solidi risultati sperimentali. La luce ambra attiva molteplici fasi dell’autofagia e aumenta le proteine correlate all’autofagia.
È stato dimostrato che la luce ambrata interagisce con il complesso leupeptina/NH4Cl, che produce un’inibizione basale della clearance lisosomiale. L’interazione con la luce ambrata rimuove tale inibizione, rilasciando così l’autofagia in un breve lasso di tempo.
Di conseguenza, diversi substrati stagnanti e potenzialmente tossici vengono eliminati da impulsi di luce ambrata, il che può contrastare il corso della degenerazione retinica. Analogamente alla luce ambrata, la luce rossa esercita un potente effetto antiossidante che può portare alla rimozione di proteine, lipidi e zuccheri dannosi.
I potenti effetti dei fitochimici come attivatori dell’autofagia hanno generato numerosi studi clinici che suggeriscono il potenziale utilizzo di questi agenti di origine vegetale per trattare la degenerazione maculare senile (AMD).
Diversi composti sono stati recentemente suggeriti come capaci di produrre un significativo effetto terapeutico nella degenerazione maculare senile (AMD). Tra questi, particolare attenzione è stata posta sulle molecole naturali derivate da estratti vegetali e sui fitochimici denominati. Questi sono stati suggeriti sulla base di evidenze empiriche e dati sperimentali che mostrano un forte effetto antiossidante insieme alla capacità di agire come potenti induttori dell’autofagia e di stimolare la biogenesi dei mitocondri.
Queste nuove opzioni terapeutiche comprendono i principali meccanismi noti per essere coinvolti nella degenerazione maculare senile (AMD). L’efficacia dei fitochimici in contesti sperimentali si basa sia sugli effetti antiossidanti e pro-autofagici diretti nel metabolismo cellulare, sia sull’alterazione dell’espressione genica attraverso effetti epigenetici, che promuovono la sintesi di proteine antiossidanti e pro-autofagiche.
Questi concetti hanno portato a una sfida per i fitochimici a livello clinico e sperimentale in diverse patologie retiniche, anche al di là della degenerazione maculare senile (AMD), tra cui patologie sistemiche che compromettono l’integrità retinica, come il diabete.
I potenti effetti dei fitochimici come attivatori dell’autofagia hanno generato una serie di studi clinici che suggeriscono il potenziale utilizzo di questi agenti di origine vegetale per il trattamento della degenerazione maculare senile (AMD). Evidenze empiriche e dati sperimentali mostrano un forte effetto antiossidante, oltre alla capacità di agire come potenti induttori dell’autofagia e di stimolare la biogenesi dei mitocondri. L’efficacia dei fitochimici in contesti sperimentali si basa sia sugli effetti antiossidanti e pro-autofagici diretti nel metabolismo cellulare, sia sull’alterazione dell’espressione genica attraverso effetti epigenetici, che promuovono la sintesi di proteine antiossidanti e pro-autofagiche.
Questi concetti hanno portato a mettere alla prova i fitochimici a livello clinico e sperimentale in diverse patologie retiniche, anche al di là della degenerazione maculare senile (AMD), tra cui malattie sistemiche che compromettono l’integrità retinica, come il diabete. I potenti effetti antiossidanti dei fitochimici suggeriscono che il sito retinico in cui la luce blu produce il maggior danno ossidativo, che corrisponde all’EPR e al bordo coroideo interno/retinico esterno, dovrebbe beneficiare della maggior parte dei loro effetti terapeutici. Per questo motivo, la maggior parte dei dati relativi al potenziale terapeutico dei fitochimici è correlata all’AMD. Ciò è rafforzato dai risultati secondo cui questi composti hanno mostrato effetti aggiuntivi, essendo in grado di sopprimere la genesi di nuovi vasi, fattore critico nello sviluppo dell’AMD umida.